Potenziali e rischi del grande progetto. Pensiamo ad un piano B
Il progetto del Most, il museo dei tesori nascosti, ovvero l’idea meritoriamente lanciata da Franco Raimondo Barbabella per trasformare l’intera caserma Piave in un colossale allestimento museale in grado di ospitare migliaia di opera d’arte attualmente custodite nei magazzini dei grandi musei italiani, è il tema da dibattere in questi mesi e sul quale ragionare cercando di apportare il maggior numero possibili di elementi. Si tratta di un’idea importante e suggestiva che deve però essere contestualizzata e studiata per valutarne punti di forza e debolezze. L’argomentazione che cercherò di sviluppare è quella secondo cui sarebbe un grande azzardo puntare l’intera rifunzionalizzazione della Piave sul Most, mentre sarebbe forse preferibile considerarlo come un’iniziativa da perseguire in una sezione di quell’enorme spazio. Perche? Intanto perchè rischiamo di investire un gigantesco capitale di lavoro politico in un ambito come quello museale che ha delle enormi fragilità di gestione economica a livello non solo nazionale, ma mondiale e, perdipiù, lo facciamo senza nemmeno presentare due conti in croce, dando l’idea di stare parlando di un sogno del quale non sappiamo fornire il costo e il rapporto tra investimenti e ritorni.
IL CONTESTO
I musei sono in crisi ovunque, primo punto. Il modello economico a cui si pensa per un museo in Italia è prevalentemente quello in cui a farsi carico delle spese sia comunque lo Stato. Non stiamo parlando del Moma di New York che aveva chiuso il bilancio del 2019 con una perdita di 25 milioni e mezzo di dollari, ma aveva ottenuto la donazione da 200 milioni di dollari da parte di David Rockfeller. Il Louvre, primo museo del mondo con poco meno di 10 milioni di visitatori all’anno di proprietà statale, famoso anche per vantare da solo tutti i visitatori dei musei italiani messi insieme, ha i conti in passivo per il 50 % del proprio bilancio. Per uscire da questa empasse finanziaria, il Louvre ha avviato da una decina di anni un piano di “brandizzazione” che, finora, si è concretizzato nel consentire l’apertura del “Louvre Abu Dhabi” dietro pagamento di rate da 73 milioni di euro da parte degli Emirati Arabi. In Italia ci sono 4908 musei, comprese le aree archeologiche aperte al pubblico. Uffizi, Colosseo e area di Pompei guidano la classifica dei più visitati. E’ in crescita il numero di quelli gestiti dallo Stato o dagli enti pubblici, mentre economicamente esiste una situazione in cui lo Stato ha investito cifre enormi, ma i cui guadagni sono spesso appannaggio delle società che li hanno avuti in concessione.
IL CASO PIAVE E LE TANTE INCOGNITE
Puntando tutte le carte per il futuro della Piave sull’opzione mega museo bisogna essere dunque consapevoli di avviare una partita difficilissima, non solo perchè si chiederebbe al Governo di realizzare un grande investimento (che nessuno è in grado di quantificare), ma anche perchè ci sarebbe l’incognita di attivare poi un sistema gestionale che non sia strutturalmente in perdita. Auguri. Davvero vogliamo giocarci la partita Piave con un progetto tanto futuribile e fragile senza cercare di impegnare i rapporti col Governo (tutti da instaurare) su una iniziativa che non presenti un rischio di perdita economica tanto grande e che possa invece svilupparsi su vari elementi e non sia monodirezionale? Anche ammesso di trovare dei soldi, ma chi li convince i direttori dei grandi musei italiani ad affidare le loro opere ad una piccola città? Le resistenze sarebbero non da poco anche considerando l’autonomia che la legge riconosce in capo ai direttori dei musei. La discussione sul Most rischia di paralizzare tutto per altri vent’ anni, trascinandoci nella solita palude paralizzante delle contrapposizioni politiche ed è quindi necessario pensare ad un piano B che tenga comunque conto delle suggestioni e del potenziale del progetto e delle sue gravi criticità.
Il PIANO B
Il museo dei musei è un’ottima idea, ma da realizzare in una parte della caserma. Trattandosi di una superficie pari ad un sesto dell’intero centro storico, la vera idea da perseguire dovrebbe essere quella elaborata ai tempi di Rpo, ovvero una rigenerazione che tenga conto della opzione abitativa, di quella dell’insediamento di aziende ed uffici, di nuovi negozi e di una parte dedicata alla cultura e all’arte che accolga il progetto Most, ma che sia modulabile per una sua implementazione futura. Una pluralità di utilizzi per ricostruire quella “città nella città” da tempo auspicata, ma seguendo il criterio degli interventi da attuare gradualmente secondo il principio che è stato richiamato anche dal sindaco Tardani. Avere le idee chiare sui diversi tipi di uso futuro (anche museo, ma non solo museo) e iniziare a lavorarci con i soldi che nel frattempo si cerca di reperire. Oltretutto, siccome in questa auspicata visione dovrebbero trovarvi spazio anche le attività commerciali, la realizzazione della Casa di comunità nella ex mensa avrebbe avuto anche senso per garantire a queste fin da subito un afflusso di potenziali clienti.
IL PROGETTO CULTURALE
Il primo passo per iniziare a dare concretezza al futuro allestimento museale si ricollega ad un’altra ottima idea. Quella lanciata dal presidente del consiglio comunale Umberto Garbini di ospitare in città mostre di artisti contemporanei che possano donare ad Orvieto le loro opere. Il modello di riferimento è sicuramente la felicissima esperienza del rapporto tra Todi e la grande scultrice americana Beverly Pepper con tutto ciò che il “Parco Pepper” significa ancora per Todi in quanto a connessione con il mondo cosmopolita dell’arte contemporanea. Un settore sul quale Orvieto è oltretutto all’anno zero, al netto di Emilio Greco, ma che potrebbe aprirci ad una dinamica di relazioni internazionali di grande potenziale. Non solo, ma parte di queste opere d’arte contemporanea potrebbero anche andare ad arricchire le frazioni di Orvieto, costituendo un parco artistico diffuso che è esattamente il tema sul quale si sta già ragionando concretamente in Tuscia (https://tfnews.it/il-piu-grande-museo-contemporaneo-diffuso-ditalia-e-nella-tuscia/). Dopo oltre venti anni di immobilismo, la prossima amministrazione comunale dovrà comunque farsi carico di affrontare la questione. L’economia della città non può permettersi un altro giro a vuoto e il Most deve rappresentare un’occasione di coraggioso e laico approfondimento oltre che di rapida decisione, senza diventare il nuovo mitizzato miraggio, buono solo a giustificare la solita e ormai non più ammissibile inconcludenza.